Il Signore e Salvatore Gesù Cristo è il dono d'amore che Dio fa all'umanità
affinché diventando ciascuno di noi Suoi discepoli e ricevendo i benefici della
Sua Persona ed opera, noi si possa vederci ristabilita la perduta dignità di
creature fatte ad immagine e somiglianza di Dio.
Questo obiettivo, naturalmente, non si realizza completamente e subito: la
vita cristiana al seguito del Signore Gesù è un cammino che si percorre
gradualmente e con diligenza, un cammino sicuro si, ma tutt'altro che facile.
Molti, soprattutto oggi, hanno fretta: vorrebbero vedere realizzate subito e
senza fatica tutte le loro aspettative e promesse. L'impegno costante e
diligente per un lungo periodo di tempo è per loro intollerabile. Non sono
disposti ad accettare la sofferenza e la scomodità di dover fare sacrifici per
arrivare all'obiettivo prefissato.
E' un po' come quando partiamo per le vacanze, e dobbiamo viaggiare in auto
per lunghe ore. Quante volte i bambini, costretti, è vero, nel sedile
posteriore ci innervosiscono con quei loro: "...e quando arriviamo? Quando
arriviamo? Quanto tempo c'è ancora da viaggiare?", chiedendocelo magari
già dopo la prima mezz'ora di viaggio! La pazienza e il sacrificio non è il
forte dei bambini, e forse neanche di tanti adulti.
Qualunque impresa che si voglia intraprendere richiede infatti impegno,
sforzo, fatica e noi siamo persone di solito molto pigre che amano cose comode.
Facilmente, però, non si otterrà mai nulla di veramente valido e duraturo.
L'apostolo Paolo, nella lettera ai Romani, al capitolo 8, dopo aver parlato
delle benedizioni disponibili in Cristo, fa il seguente sorprendente discorso:
"E se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi di
Cristo, se pure soffriamo con lui per essere anche con lui glorificati. 18Io
ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano affatto
da eguagliarsi alla gloria che sarà manifestata in noi. 19Infatti il
desiderio intenso della creazione aspetta con bramosia la manifestazione dei
figli di Dio.... 23E non solo esso, ma anche noi stessi che abbiamo
le primizie dello Spirito; noi stessi, dico, soffriamo in noi stessi,
aspettando intensamente l'adozione, la redenzione del nostro corpo. 24Perché
noi siamo stati salvati in speranza; ora la speranza che si vede non è
speranza, poiché ciò che uno vede, come può sperarlo ancora? 25Ma se
aspettiamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza. ...28Ora
noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene per coloro che amano
Dio, i quali sono chiamati secondo il suo proponimento. 29Poiché
quelli che egli ha preconosciuti, li ha anche predestinati ad essere conformi
all'immagine del suo Figlio, affinché egli sia il primogenito fra molti
fratelli. 30E quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati;
quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati, e quelli che ha giustificati,
li ha pure glorificati".
Pronti a soffrire?
Nel testo della lettera ai Romani che abbiamo letto, Paolo descrive la vita
cristiana come un cammino fatto anche di sacrificio e di sofferenza. Proprio
quando parla delle benedizioni che i figli di Dio ricevono, egli introduce il
tema della sofferenza: "E se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di
Dio e coeredi di Cristo, se pure soffriamo con lui per essere anche con lui
glorificati"(Ro. 8:17).
Certo come figli di Dio, noi attendiamo con fiducia di ricevere una gloriosa
eredità dal nostro Padre celeste. Siamo coeredi con Cristo, e siamo chiamati a
condividere con Lui le meravigliose ricchezze della Sua dignità. Siamo però
anche eredi delle Sue sofferenze, per soffrire come Cristo ha sofferto!
Non è forse un colpo basso quello che Paolo qui pare darci? Fin ora abbiamo
impostato la nostra serie di riflessioni su una dignità da riconquistare, non
sulla sofferenza... Abbiamo visto come si sono sviluppati i progetti di Dio per
liberare il Suo popolo dalla miseria verso il pieno ristabilimento come Sue
gloriose immagini. Abbiamo imparato molto da personaggi come Adamo, Noè,
Abrahamo, Mosè, Davide.
Il discorso non sarebbe però completo ed onesto se ora la Bibbia non ci
dicesse che i cristiani pure ereditano le sofferenze di Gesù. Che cos'ha
a che fare la sofferenza con i piani di Dio per ristabilirci alla nostra
dignità perduta? Come si concilia tutto questo con quanto abbiamo detto?
Una necessità
Per quanto misterioso questo possa sembrare, Dio ha stabilito che la
sofferenza fosse una componente del nostro cammino verso la dignità perduta.
Notate come l'apostolo lo dica chiaramente: "se pure soffriamo con lui per
essere anche con lui glorificati". In breve: non potremo godere
della gloria di Cristo senza partecipare alle Sue sofferenze.
Per comprendere il ruolo che le avversità e le sofferenze hanno nella vita
cristiana dobbiamo chiarire a quali sofferenze l'Apostolo stava pensando quando
faceva questo discorso. I credenti possono infatti trovarsi in difficoltà per
molte ragioni. Possiamo distinguere almeno tre tipi di sofferenza:
1) Viviamo in un mondo corrotto. In primo luogo la nostra vita è
crivellata da difficoltà semplicemente perché viviamo in un mondo decaduto e
corrotto. Il cristiano è una persona che è stata riscattata dalle conseguenze
eterne del peccato e, per grazia di Dio, sta riparando oggi la sua vita da
molti mali. Dio però non toglie il cristiano dal mondo per portarlo
immediatamente in paradiso. Rimanendo quaggiù, vivendo nel contesto di questo
sistema di cose, continuiamo ad essere soggetti alle conseguenze della
maledizione a cui Dio ha sottoposto il mondo dopo il peccato di Adamo ed Eva (Ge. 3:16-19). Se Cristo ci dovesse liberare dai
condizionamenti negativi di questo mondo sulla nostra vita, dovrebbe subito
portarci via di qui. Gesù però ha detto: "Io non chiedo che tu li tolga
dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno"(Gv. 17:15). Cristo non ci ha liberato completamente dai guai che ci sono stati causati dai
nostri progenitori.
I credenti rimangono anch'essi sottoposti a molte delle difficoltà comuni
alla razza umana. Siamo anche noi vittima di ingiustizie; dobbiamo affrontare
le devastazioni della guerra; soffriamo a causa di disastri naturali;
diventiamo malati e moriamo. Questo tipo di problemi non ci sopraggiungono
perché noi si abbia personalmente disubbidito a Dio, ma li dobbiamo affrontare
proprio perché viviamo in un mondo maledetto dal peccato di Adamo.
2) Le conseguenze del nostro malfare. In secondo luogo, i credenti pur
avendo ricevuto in sé stessi un principio di nuova vita, rimangono persone con
molte contraddizioni. Lungi dall'essere perfetti, commettono errori, e devono
oggi pagare per le conseguenze di loro eventuali scelte sbagliate. Come tutti
anche i credenti possono soffrire come diretto risultato della loro propria
ingiustizia. Violare lo standard morale stabilito da Dio comporta sempre delle
conseguenze negative: è una legge ineluttabile. L'adulterio porta al divorzio;
rubare porta al carcere, e questi non sono che esempi macroscopici. Possiamo
causare squilibrio al nostro corpo se ne abusiamo, possiamo causare problemi
alla nostra famiglia o alla nostra società quando non ci comportiamo come
dovremmo. Soffriamo questo tipo di problemi perché sono conseguenza della
nostra disubbidienza al Signore.
Oltre tutto i nostri peccati suscitano contro di noi una salutare azione
disciplinare da parte di Dio. Egli permette che i suoi figli erranti subiscano
delle avversità per farli ritornare sul sentiero della giustizia (Eb. 12:10). In entrambi i casi, sono i nostri
personali peccati a farci soffrire.
3) L'avversione del mondo. Già queste cose rendono difficile la vita, ma
Paolo non pensa tanto a questo quando dice: "soffriamo con lui per
essere anche con lui glorificati". Egli pensa ad un terzo tipo di
sofferenza,
problemi che Dio non ha taciuto esisteranno per i seguaci di Cristo. Facciamo l'esperienza delle difficoltà perché Dio ci ha chiamato a soffrire. Chiamati a soffrire, soffrire "apposta"? Si, soffrire per la causa dell'Evangelo al quale abbiamo dedicato tutta la nostra vita.
problemi che Dio non ha taciuto esisteranno per i seguaci di Cristo. Facciamo l'esperienza delle difficoltà perché Dio ci ha chiamato a soffrire. Chiamati a soffrire, soffrire "apposta"? Si, soffrire per la causa dell'Evangelo al quale abbiamo dedicato tutta la nostra vita.
Chiamati alla sofferenza
Ogni cristiano è stato chiamato a soffrire almeno in due modi. Da un canto
condividiamo le sofferenze di Cristo perché la nostra devozione verso di Lui,
la nostra coerenza con la volontà del Signore il mondo non la tollera.
Il cristiano coerente fa immancabilmente esperienza di opposizione da parte
del mondo. Gesù è chiaro su questo punto: "Se il mondo vi odia,
sappiate che ha odiato me prima di voi"
(Gv. 15:18), e ancora: "Io ho dato loro la tua parola e il mondo
li ha odiati, perché non sono del mondo, come neppure io sono del mondo"(Gv.
17:14). Si, il cristiano sta dalla parte di Colui che il mondo di
tenebre odia. Di conseguenza, i non credenti lo perseguitano come hanno
perseguitato lui.
La storia riporta quanto innumerevoli cristiani abbiano dovuto sopportare
terribili prove per mano di non credenti. Ancora oggi cristiani soffrono
terribili persecuzioni in alcune parti del mondo. Certo l'influenza
dell'Evangelo nel mondo allevia molte sofferenze, ma ancora si manifesta l'odio
del mondo contro persone che Dio ha rigenerato e che intendono pensare e vivere
secondo la volontà di Dio. Organizzazioni professionali li respingono. Vicini e
membri della loro famiglia li escludono. Pensate quante volte un cristiano
coerente con il Suo Signore viene deriso o considerato fanatico o settario e
per questo additato ed emarginato dalla maggioranza compiacente e persino da
altri cosiddetti cristiani o "gente religiosa". Non c'è peggiore
settario di chi è sempre pronto ad additare l'uno o l'altro come settario!
Gesù ha detto: "Vi ho detto queste cose, affinché non siate
scandalizzati. Vi espelleranno dalle sinagoghe; anzi, l'ora viene che chiunque
vi ucciderà penserà di rendere un servizio a Dio. E vi faranno queste cose,
perché non hanno conosciuto né il Padre né me" (Gv. 16:1-3).
E ancora: "Ora voi sarete traditi anche dai genitori, dai fratelli, dai
parenti e dagli amici; e faranno morire alcuni di voi. E sarete odiati da tutti
a causa del mio nome. Ma neppure un capello del vostro capo perirà. Nella vostra
perseveranza guadagnerete le anime vostre"(Lu. 21:16-19).
In questi ed in molti altri modi, soffriamo per Cristo perché il mondo è deciso
ad ostacolare l'avanzamento del regno di Dio.
Paolo ammoniva Timoteo che: "tutti quelli che vogliono vivere
piamente in Cristo Gesù, saranno perseguitati" (2 Ti. 3:12). Queste parole ci dovrebbero fare ben riflettere. Se
io e voi non abbiamo alcun problema di questo genere da parte del mondo,
dovremmo seriamente mettere in questione l'autenticità della nostra professione
di fede cristiana. Blaise Pascal ha detto: "E' dai segni delle sue
sofferenze che Cristo ha voluto farsi riconoscere dai suoi discepoli, ed è per
mezzo delle sofferenze che riconosce coloro che sono i suoi discepoli".
Coloro che seguono la vocazione di cristo si pongono in rotta di collisione con
i non credenti. Conflitto e persecuzione sono inevitabili.
La sofferenza del sacrificio
D'altro canto i cristiani soffrono perché Dio ci ha chiamati a dire no ai
nostri propri desideri per adottare uno stile di vita impostato al sacrificio.
Questo aspetto della vita cristiana diventa evidente in diversi brani del Nuovo
Testamento. In 2 Co. 1:5 Paolo scrisse che "le sofferenze di Cristo
abbondano in noi".
Umiliazione e servizio non erano riservati solo a Cristo, le sue sofferenze
"traboccano" nell'esperienza della comunità cristiana. In modo
simile, Paolo parla del suo ministero come di un'opportunità per "compiere
nella sua carne" "ciò che manca ancora alle afflizioni di
Cristo"(Cl. 1:24). Noi siamo
chiamati ad essere, in un certo senso, il proseguimento delle sofferenze di
Cristo seguendone i passi di servizio sacrificale.
Quando uomini e donne ripongono la loro fede in Cristo, Dio li associa in
modo soprannaturale alla morte ed alla risurrezione di Cristo (Ro. 6:1-7). In effetti, quello che Gli è
avvenuto duemila anni fa accade pure a noi. Noi "moriamo al peccato" (v. 2) e siamo fatti risorgere "in novità
di vita"(v. 4). Vivendo però da
questa parte della "staccionata", la nostra unione con Cristo pure
comporta continuare in noi la Sua umiliazione in questo mondo. Cristo: "Non
è venuto per essere servito, ma per servire" (Mr. 10:45). Cristo: "si è fatto povero per voi, affinché
voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà"(2 Co. 8:9).
Egli ha trascurato il Suo proprio onore "per cercare e salvare ciò che
era perduto"(Lu. 19:10). Egli "abbassò sé stesso,
divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce." (Fl.
2:8)
Vivere per Cristo significa vivere come Lui ha vissuto. Noi non
siamo qui per essere serviti, ma per servire; il nostro scopo per vivere non è
arraffare tutti i beni di questo mondo, ma quello di perderli per Lui.
In questa luce dovrebbe essere evidente che Dio non ci ha chiesto
semplicemente di sopportare delle sofferenze per lui, ma si aspetta che noi
le andiamo a cercare! In che modo Gesù ci dice questo? Così: "Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda ogni giorno la sua
croce e mi segua"(Lu. 9:23). Seguire Cristo significa
andarseli a cercare i guai! Paolo esprimeva quel desiderio che dovrebbe pure
essere nel nostro cuore in questi termini: "Voglio solo conoscere
Cristo e la potenza della sua risurrezione. Voglio soffrire e morire in comunione
con lui"(Fl. 3:10). I credenti non dovrebbero soffrire
per Cristo cercandone il meno possibile di sofferenze, dovremmo anelare a
condividere le Sue prove.
I volontari, per esempio, quelli della Croce Rossa che vanno in guerra,
meritano tutto il nostro rispetto. Affrontano circostanze molto pericolose e
spesso sacrificano la loro vita per gli altri. Dovremmo rendere onore al loro
coraggio. Essi mettono da parte i loro interessi immediati e la loro sicurezza,
rinnegano sé stessi e lasciano i propri cari per vivere e forse per morire per
gli altri.
Se siamo onesti, la maggioranza dei cristiani vive come dei soldati di leva
più che come volontari. Quando eventi al di là del nostro controllo ci
costringono a fare dei sacrifici, ne sopportiamo il fardello il meglio che
possiamo. Raramente però diciamo appositamente no ai nostri desideri per poter
portare la croce di Cristo. Siamo troppo attaccati alla "vita
pacifica" che annunciarci come volontari per la sofferenza. Come coeredi
delle sofferenze di Cristo, però, dobbiamo mettere da parte i nostri obiettivi
personali per servire il regno di Dio.
Naturalmente dobbiamo essere saggi amministratori di ciò che possediamo e
del successo che Dio ci accorda in questo mondo. Però le persone il cui unico
obiettivo è quello di accumulare proprietà e potere, non vivono come dovrebbero
i veri seguaci di Cristo. Dio ci ha chiamato a condividere le sofferenze di
Cristo.
Quanto Dio desidera che io e voi soffriamo per Cristo? Ogni persona lo deve
decidere individualmente davanti al Signore. Dio chiama alcuni cristiani a
sacrifici radicali: missioni all'estero, servizio dei poveri, e innumerevoli
vocazioni di questo tipo implicano grandi sacrifici personali. Dio chiama altri
cristiani a offrirsi volontari per la sofferenza in altri modi. Possiamo donare
generosamente del nostro denaro per opere cristiane invece di tenerci ogni
centesimo avanzato per noi stessi. Possiamo dare del nostro tempo per
l'evangelizzazione ed il servizio, invece di riempire la nostra vita con i nostri
propri progetti. Possiamo decidere di seguire una carriera professionale che
onori Cristo, invece che una che onori soltanto noi stessi. Possiamo impegnarci
duramente per ricostruire un matrimonio in crisi, piuttosto che cercare la
comoda soluzione del divorzio. Possiamo aprire la nostra casa per coloro che
sono nel bisogno, più che forse comprarci un'auto nuova. Possiamo visitare gli
anziani ed i malati, invece di passare il nostro tempo a guardare la
televisione o ad andare a spasso... Certo abbiamo le nostre "valide
scusanti" per non farlo, ma come misuriamo noi il nostro sacrificio per
Cristo? Le opportunità che potremmo avere sono infinite, basta cercarle.
Conclusione
Nel percorrere la strada che conduce al ristabilimento in Cristo della
nostra dignità perduta di creature fatte ad immagine di Dio dovremmo tenere in
debito conto la sofferenza e non solo come qualcosa purtroppo di inevitabile,
ma come positivo strumento per contribuire al regno di Dio.
I credenti devono sopportare tutti i problemi che sono comuni all'umanità e
pure le conseguenze del peccato. Più di questo, però, Dio ci chiama a soffrire
volontariamente sopportando la persecuzione e sacrificando per Lui i nostri
desideri. Con tutte queste vie di sofferenza davanti a noi, dovremmo farci la
seria domanda: di quale tipo è il cristianesimo che io professo? Un
cristianesimo formale e di comodo o quello che davvero significa seguire Cristo
Gesù, in vita e in morte? Potrà anche non essere una prospettiva piacevole per
qualcuno, ma soltanto il secondo ci potrà davvero salvare davanti a Dio.
Il cristiano deve essere pronto a tutto, perché c'è tutto da guadagnare e da
perdere solo i nostri stracci nel seguire il Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Possiamo ripetere il detto che dice: Ne vale la pena! ed in questo caso è da
intendersi letteralmente!
di Paolo Castellina
“Siamo corretti dal Signore, affinché non siamo condannati con il mondo”
(I Cor 11:32)
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